Descrizione
Vitigno
Passerina minimo 85%
Origine del Vitigno
La Passerina è un vitigno a bacca bianca molto antico, autoctono dell’Italia centrale, noto anche come Trebbiano scenciato, Campolese, Empibotte, Uva d’Oro, Pagadebiti: questa ultima denominazione grazie alla sua capacità di far fare cassa con vendemmie molto generose. Di certo il suo nome si deve alla ghiottoneria che i passeri hanno per le sue bacche particolarmente dolci e gialle. Nonostante la qualità, la Passerina ha conosciuto la forte concorrenza del Trebbiano, più resistente alle avversità. Vitigno vigoroso, dal grappolo compatto di grandi dimensioni, viene potato lungo e allevato con sistemi espansi. Le zone di produzione principali sono le Marche e l’Abruzzo, dove l’influsso del mare aggiunge sapidità e piacevolezza. Vino dai profumi di albicocca, pesca, pera, fiori bianchi, timo, salvia, ginestra, agrumi e con accenni di miele. Al palato è fresco, delicato, non troppo strutturato, mai sgarbato, con punte gustose di sapidità e un finale minerale con mandorle e fiori. Buona la persistenza, ma non è un vino da invecchiamento, quindi non è molto concentrato o burroso.
Forma di Allevamento
Tendone o nel dialetto locale “la capanne”. Forma di allevamento espansa tradizionale del territorio che si caratterizzata da una bassa densità di piante per ettaro (1.100-1.600) capace di assecondare la naturale armonia dello sviluppo vegetativo della vite. Nella “capanne” la raccolta e la potatura sono esclusivamente manuali, strettamente legate al vignaiolo e alla piccola proprietà contadina.
Terreno e Altitudine
Terreni profondi argillosi con venature calcaree. Vigneti coltivati a 400-500 m s.l.m.
Tipo di Conduzione Agricola
Biodinamica con certificazione DEMETER.
La coltivazione biodinamica è importante per la vita microbiologica del terreno che è fondamentale nella fermentazione spontanea del vino biodinamico. In agricoltura convenzionale l’uso di fungicidi indeboliscono le popolazioni di lieviti e rendono molto difficile la fermentazione spontanea. La biodinamica restituisce al vino il luogo di origine, definito dai francesi come “Terroir” (territorialità).
Vinificazione
LA FERMENTAZIONE SPONTANEA
Per millenni le fermentazioni si sono svolte in maniera spontanea innescate dai lieviti presenti in natura i cosiddetti lieviti indigeni o autoctoni o selvaggi, diversi da zona a zona capaci di trasmettere al vino le caratteristiche uniche del luogo e dall’annata.
COSA HA UCCISO LA FERMENTAZIONE SPONTANEA?
Le fermentazioni spontanee, legate ai lieviti selvaggi, sono andate in difficoltà con la diffusione dei pesticidi, fertilizzanti chimici e dei diserbanti nei primi anni ’60 che hanno annientato la vita microbiologica dei nostri vigneti, costringendo a ricorrere ai lieviti selezionati per l’avvio della fermentazione. Solo con un’agricoltura attenta e pulita, frutto della relazione sinergica con la natura, si potranno portare in cantina uve sane e microbiologicamente “vive”, capaci quindi di affrontare una fermentazione spontanea e processo di vinificazione privo di forzature e costrizioni, per una vera espressione del terroir. Fondamentale per il successo di una fermentazione spontanea è anche che la tecnica di vinificazione sia rispettosa della vita microbica: l’aggiunta dei solfiti sull’uva o nei mosti uccide la microflora dell’uva (lieviti) e compromette la fermentazione. Questa è la ragione per cui la fermentazione spontanea può essere condotta solo senza aggiunti di solfiti mentre in convenzionale l’uso dei lieviti industriali tolleranti ai solfiti permette di fermentare anche con l’aggiunta di solfiti.
TERROIR E LA BIOGEOGRAFIA MICROBICA
I vini biodinamici legano la loro complessità alla fermentazione spontanea dove nella prima fase della fermentazione i lieviti apiculati impartiscono al vino l’impronta digitale del terroir microbico attraverso profili organolettici unici. Nella fermentazione convenzionale ai lieviti apiculati non viene permesso di esprimersi in quanto vengono eliminati con i solfiti e con la forte colonizzazione dei lieviti industriali aggiunti.
STABILIZZAZIONE TARTARICA NATURALE
trovare nella bottiglia piccoli cristalli (tartrati) significa che “il vino ha sentito freddo” e che ha rilasciato delle innocue precipitazioni naturali. Nel vino biodinamico non sono ammessi trattamenti fisici (refrigerazione), chimici (aggiunta di carbossi-metil-cellulosa, acido meta-tartarico, gomme arabiche e altro) e viene utilizzato solo freddo invernale come elemento di stabilizzazione tartarica. La tecnica convenzionale di stabilizzazione tartarica prevede che il vino prima di andare in bottiglia deve essere portato da temperatura ambiente a – 6/-7 °C circa e mantenuto a questa temperatura per alcuni giorni (6-7). La tecnica di stabilizzazione tartarica convenzionale, soprattutto nel periodo estivo, porta a un notevole consumo energetico. Un vero peccato questo enorme consumo di energia per evitare la presenza di qualche milligrammo di innocui cristalli di tartrato.
LIMITI DEI SOLFITI
Limite del vino biodinamico Demeter = vino bianco max 90 mg/lt
FILTRAZIONE
Non ammessa la filtrazione sterile.
AFFINAMENTO
Vasche di cemento e bottiglia.
Caratteristiche sensoriali
SCHEDA ORGANOLETTICA
Colore: giallo paglierino.
Profumo: al naso leggermente aromatico con note floreali e fruttate odori di sambuco, pompelmo e frutta matura a polpa gialla.
Sapore: Gusto pulito, fresco con una leggera sapidità. La vena acidula e la sapidità si equilibrano con un’ottima struttura.
ABBINAMENTO GASTRONOMICO
Crudi di pesce, fritture salumi, risotti e formaggi di media stagionatura.
SERVIRE A 10-12°C